Il Decreto Cura Italia ha una grossa lacuna e gli operatori della moda se ne sono accorti subito: non considera il settore tra quelli a cui dare aiuto nell’attuale situazione di emergenza. Il Governo ha già precisato che ci saranno ulteriori aggiustamenti, ma intanto il comparto chiede interventi mirati e garanzie. All’indomani del documento rivolto all’esecutivo da Camera Moda e mentre fioriscono iniziative come quella di White e Confartigianato (vedi news di oggi), abbiamo voluto dare la parola a chi lotta quotidianamente sul campo e alza la voce. Una voce che da individuale sta diventando collettiva, perché se anche un solo anello della filiera viene trascurato, ne va della tenuta di un intero sistema, fondamentale per l’economia del nostro Paese (nella foto, buyer a Pitti Uomo).
Francesco Tombolini
Presidente Camera Buyer
«”Negozi, boutique, showroom, rappresentanti, produttori, stilisti, grafici, modellisti, distributori…Facciamoci sentire!”: ho postato questo appello in cui si chiede al Governo e al primo ministro Conte maggiore attenzione nei confronti della moda, con una domanda provocatoria, “Conte, ti sei dimenticato di noi?”. Il Decreto ha individuato 16 filiere a cui dare un primo aiuto, come musei, ristoranti, attività turistiche, eccetera. E la moda? Anche i negozi del settore sono legati al turismo e rappresentano un’attività ad alto capitale spendente, perché la merce viene acquistata sei mesi prima ed è soggetta a deperibilità, proprio come accade in un ristorante. Vogliamo far capire al Governo che il retail è solo la punta dell’iceberg di una filiera complessa e fondamentale per la nostra economia, che comprende showroom, aziende e manifatture. Sono tre gli aspetti fondamentali da considerare: innanzitutto è necessario aggiungere la moda alle 16 filiere individuate dall’esecutivo; bisogna poi fare un ragionamento sui saldi, per dare respiro ai negozianti, tramite un accordo che preveda uno slittamento delle date oltre i mesi canonici di giugno/luglio, considerando che a febbraio, marzo e aprile i punti vendita non avranno lavorato. Consideriamo anche che quest’anno in Italia il mercato sarà solo domestico, perché non avremo turisti. Il terzo aspetto riguarda gli incentivi per incoraggiare lo shopping, spingendo i consumatori a recarsi negli store fisici con una serie di agevolazioni, che comprendano la possibilità di scaricare gli scontrini. Certo, in questo momento Conte e i suoi fanno quello che possono fare, vista l’emergenza, per cui sarebbe importante che qualcuno si interessi di riunire un tavolo di persone operative interne alla moda, che insieme prendano delle decisioni su temi scottanti. Un esempio? La stagione autunno-inverno non potrà essere consegnata tra maggio e giugno come al solito. In altri termini, serve una piccola Yalta della moda, dove sederci e ragionare tutti insieme: negozi, showroom e manifatture».
Riccardo Grassi
Titolare Riccardo Grassi showroom
«Da imprenditore mi piace sottolineare che la nostra attività commerciale va avanti: abbiamo portato a termine la campagna vendita con tutti i mezzi tecnici a disposizione, tenendo in considerazione anche i più piccoli ordini, perché mai come in questo momento mantenere il contatto con i nostri clienti è prioritario. Ora l’impegno va avanti lavorando in Smart working sul servizio al cliente, perché il settore non può e non deve saltare una stagione. In questo tentativo di dare continuità al lavoro ci incoraggiano i primi segnali che arrivano dall’Asia, che nel tentativo di tornare alla normalità mette in mostra la voglia di continuare a fare business. Quello che invece ci ha scoraggiato è non veder citato nel Decreto il nostro settore, che porta avanti un valore non solo quantitativo ma anche di immagine per il Paese, tra quelli da difendere da parte del nostro primo ministro. Voglio pensare che si sia trattato di una dimenticanza. Aspettiamo di vedere le prossime misure a tutela del sistema e per questo non posso che condividere il messaggio lanciato da Carlo Capasa. Le priorità sono tante, ma io partirei dalla liquidità e dagli ammortizzatori sociali, per mantenere i posti di lavoro delle persone. La moda è una manifattura, fermare gli operai significa fermare il sistema produttivo e a cascata tutti gli altri. Una priorità è anche la tutela delle Pmi, che per quanto riguarda la moda significa giovani stilisti indipendenti, che non potranno permettersi di iniziare la stagione già in saldo e con i multimarca che faticano a rispettare gli impegni. Per loro il rischio è la cancellazione, così resteremmo con un mercato della moda fatto solo di big brand».
Giuseppe Giglio
Giglio Palermo, giglio.com e community store
«La nostra realtà fa parte di Camera Moda e le richieste rivolte da Carlo Capasa al presidente del consiglio Conte sono condivisibili. Le misure adottate dal Decreto sono insufficienti, ma chi ci governa ne è pienamente consapevole e parla infatti di nuovi accorgimenti: speriamo che siano quelli giusti. Mi auguro che non si commetta l’errore di trascurare la moda, che si merita attenzioni al pari degli altri settori, anzi forse di più, per la sua filiera che è un unicum nel mondo e che va preservata. Capasa porta avanti molte richieste: lo sforzo più grande sarà fare una sintesi in base a un equilibrio di tutti quei punti, perché la cosa più sbagliata sarebbe agevolare una categoria piuttosto che un’altra. La filiera del sistema moda made in Italy è davvero lunga, inizia con il produttore di materie prime e finisce con il negoziante, impossibile pensare di tralasciare qualcuno. Le priorità le lascio individuare ad altri: certo è che questo comparto è affollato di piccole e medie imprese che vivono di cash flow e che quasi nessuno ha in pancia liquidità per sostenere tre mesi di mancata attività. Di questo si dovrà tenere massimamente conto».
Alessandro Squarzi
Titolare di Alessandro Squarzi showroom e di Fortela
«Io sono un imprenditore anomalo, che copre un bel pezzo della filiera: ho un marchio tutto mio che produco, vendo le collezioni di altri attraverso la showroom e da qualche anno porto avanti anche un negozio. Questo mi fa capire che non ci possono essere misure che agevolano una categoria più di un’altra: o si riparte tutti o il sistema imploderà. Che si tratti di mancate provvigioni dai buyer o dell’impossibilità di vendere la merce, tutti devono avere i mezzi economici per rimettersi in carreggiata e la possibilità almeno di rimandare i costi fissi. Io non sono un economista, né un politico e non sono in grado di proporre la medicina per il settore moda, ma chi ci governa dovrà fare di tutto per salvare questo settore, che proprio perché si occupa di lusso e di effimero rischia di prendere lo schiaffo più grosso da questa emergenza sanitaria, diventata ormai anche una crisi economica».
Giulio Di Sabato
Presidente di Assomoda e titolare di Sari Spazio showroom
«Ci stiamo sentendo con Francesco Tombolini e Carlo Capasa e siamo al lavoro per unire le forze, aperti al confronto anche con le altre associazioni di categoria della filiera, perché vedo tante iniziative singole, ma così si rischia che nulla vada a buon fine. Invece serve un’azione congiunta, con proposte di soluzioni che aiutino tutti. Siamo anche attivi con Confcommercio, di cui fa parte la nostra associazione. Per ora qualcosa abbiamo ottenuto, ma non sono state accolte tutte le nostre richieste. Speriamo che prossimamente il Governo riconosca il valore della moda. Sono tanti in questo momento i fattori di preoccupazione per le fashion showroom, come il pagamento dei dipendenti: la cassa integrazione interviene se il dipendente ha già maturato le ferie. Alla lista si aggiungono i versamenti Enasarco e Fir, la gestione dei subagenti, il pagamento degli affitti. I fatturati inoltre si stanno ridimensionando tra il 30% e il 50%, nelle stime dell’associazione. I buyer vogliono degli sconti o allungare i termini di pagamento. Alcuni non hanno ritirato i saldi per la primavera-estate, altri non vogliono confermare gli ordini per l’invernale. Già la mancata presenza alla scorsa fashion week di compratori da Asia, Medio Oriente e Russia, legata al coronavirus, ha rappresentato un 10-15% di ordini stagionali in meno. C’è un altro grande punto interrogativo: quello delle spedizioni. Il lato “positivo” di questa situazione è, invece, che in molti del settore prenderanno coscienza della necessità di avere una showroom fisica e una online, magari anche in una piattaforma collettiva. Non possiamo più farne a meno. Eravamo pronti, poi l’epidemia ha bloccato tutto ma l’omnicanalità ci aiuterà nella ripresa».
Vincenzo Palazzo
Stilista e fondatore Vìen
«Quello che stiamo facendo in questo momento non è solo salvare le vendite di una stagione o mantenere i posti di lavoro, ma preservare il sogno di una vita. Certo non sarà facile, ma ci proviamo. Noi stilisti investiamo tutto nelle collezioni che disegniamo, un impegno di sei mesidi cui si raccolgono i frutti in soli 10 giorni di campagna vendita, che è stata colpita in pieno dall’emergenza. Altre attività, certamente importanti, seguono logiche diverse e potranno far fronte a questi giorni di chiusura recuperando nel day by day. Per noi questo è impossibile. La realtà è che abbiano consegnato l’estivo, ora immobilizzato nei magazzini, e che siamo alle prese con un dubbio amletico: portare avanti o no la nuova collezione. A quale prezzo? Io penso che per l’emergenza sono state prese scelte molto drastiche, come annullare eventi sportivi e musicali, ma perché non si pensa a sospendere per una stagione i saldi? Vietare ogni forma di sconti: questo darebbe ossigeno ai noi stilisti. Quando questa emergenza finirà, molte aziende di altri settori riceveranno nuovi ordini quotidianamente e avranno margini per recuperare in parte le perdite: questo nella moda non succederà ed è incredibile che le istituzioni non valutino aspetti del genere, nel momento in cui ignorano la moda nell’elenco dei comparti più colpiti in questo momento».
Silvia Bini
Titolare di Bini Silvia e Càos (Viareggio)
«Il Governo si deve ricordare che la moda non è solo lusso per pochi, ma la seconda industria italiana, che dà lavoro a tante persone il cui posto ora è a rischio. L’indotto della filiera è enorme e lo Stato non può non prenderne atto, così come l’Europa intera. Bisognerà vedere però se si rivelerà all’altezza, con tutto quello che c’è da fare in questo momento ho forti dubbi. Noi siamo in Versilia, una meta turistica dove la Pasqua è un momento clou per gli affari: ma dopo un marzo fermo, ad aprile le cose andranno alla stessa maniera e questo significa che la stagione è persa. Non so quando riapriremo e anche quando ritornerà la voglia di comprare, andare in spiaggia, al ristorante, insomma le cose che si facevano prima e che si davano per scontate. Supponiamo di rimetterci al lavoro a maggio-giugno, con l’invernale appena arrivato in negozio: dubito che allora sarà tornata la voglia di fare shopping. L’online potrà dare qualche conforto, a patto che non punti agli sconti selvaggi, plateali o nascosti, come sta già succedendo. Insomma, è una catastrofe e ci dovremo rimboccare le maniche, senza aspettarci troppo da chi sta in alto».
Giusy Donini
Titolare del marchio di bijoux Giujoux e vicepresidente di D.E.A.
«Noi di D.E.A., nuova associazione dei designer emergenti aderente ad Assomoda, intendiamo coordinarci con l’associazione degli agenti per agire in modo univoco. Far fronte comune è necessario. Nata a inizio 2020 su iniziativa di quattro designer, D.E.A. al momento conta 16 associati, che stanno vivendo questo momento con preoccupazione. Tra di noi c’è chi ha un’azienda consolidata, altri sono artigiani, altri ancora emergenti: i timori maggiori sono nelle realtà più strutturate, con dipendenti. I fornitori esigono di essere pagati subito, chi ha un negozio è pressato per l’affitto e c’è chi si trova con ordini annullati o per i quali viene richiesto uno sconto. In sintesi c’è molto disorientamento, che talvolta sconfina nella depressione, ma cerchiamo di unire le forze e sostenerci l’un l’altro, auspicando che presto arrivino quei fondi a supporto delle piccole imprese della moda di cui si vocifera».
an.bi., e.f., c.me. e a.b.